Ci chiamavano Bronx.
In una cittadina tranquilla come la nostra era pure comprensibile. Chi non aveva motivo per transitare per la nostra via, non si sognava di metterci piede.
I due palazzoni coperti di lamiere azzurre mettevano un po' soggezione, a stagliarsi in mezzo all'erba come due ferite.
C'era un po' di tutto, a spaventare gli estranei: droga, prostituzione, reietti della società, poveracci. E poi c'eravamo noi.
Noi eravamo bambini, prodotti del degrado, ma anche dell'amore. Noi giocavamo a calcio tra le auto parcheggiate, che tanto non erano di lusso. La porta un cassonetto, i limiti un'aiuola, ed era subito finale dei mondiali.
D'estate si faceva tardi, noi figli del degrado, a giocare a nascondino, eravamo talmente tanti che non si finiva mai di trovarne un altro, nascosto nel buio di un cespuglio.
Poi crescemmo, tutti quanti. Dal pallone ai motorini sgangherati fu un solo passo. Si guidavano senza casco e senza l'età per guidarli. Si cadeva e ci si rialzava, ed i pezzi sfasciati si sistemavano in garage, che tanto qualcuno ne aveva sempre di pezzi di ricambio. Qualcuno c'era sempre nei garage.
Le incomprensioni si sistemavano a pugni, maschi o femmine era lo stesso.
Poi c'era il baretto, quello piccolo dall'altra parte della strada. Dove passavamo le giornate intere, al flipper o a giocare a carte. Dove assaggiammo le prime birre. Dove asciugammo le prime lacrime.
Ci chiamavano Bronx, e i poliziotti non ci passavano - quasi - mai.
Tanti di noi si sono persi per strada. Tanti non so nemmeno dove siano adesso. Ma è grazie a quei piccoli delinquenti che sono diventata me stessa. Un pezzettino dei palazzi blu me lo porto sempre appresso.
Vi voglio bene, ovunque siate. Tutti quanti.
..ah, e buon Natale!
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