http://gentiliphoto.com/album-music
A fine marzo in Norvegia è ancora inverno inoltrato.
Tuttavia quest'anno siamo fortunati, io e Hex, e c'è quasi sempre il sole. Arriviamo in città e per prima cosa facciamo un salto all'hotel Christiania, quartier generale delle band e degli organizzatori. Ci facciamo dare il pass e ce ne andiamo nella nostra stanza, quasi come se fosse naturale attraversare una hall dove gli unici avventori sono capelloni vestiti di nero e già discretamente ubriachi. D'altra parte come bevono i norvegesi nessuno mai. Mentre preparo la macchina fotografica dò un'occhiata al programma, e vedo senza restare particolarmente sorpresa che anche quest'anno la maggior parte delle bands sono locali. Questo fatto rende l'Inferno interessante sotto diversi punti di vista. In primo luogo si focalizza l'attenzione sulla scena nordeuropea, da sempre molto innovativa ma anche molto amata, oltre che ad alti livelli di professionalità. La maggior parte dei musicisti lavora in maniera impeccabile, a partire da quelli emergenti, ed anche coloro che hanno a che fare con l'organizzazione di tali eventi non fa differenza tra una band metal ed un qualsiasi gruppo pop. I generi musicali hanno tutti la stessa dignità, senza discriminazioni di genere, e questo porta anche band come Dimmu Borgir ad aver la possibilità di presentarsi al grande pubblico, magari con un'esibizione al teatro dell'opera, insieme ad un'orchestra riconosciuta a livello nazionale, o magari di poter presentare le proprie canzoni al "sanremo" locale. La musica in Norvegia gode di una dignità tutta particolare, nonostante i generi, ed i musicisti sono rispettati come qualsiasi altro lavoratore. Tornando al festival, e tornando a parlare dell'enfasi posta sulle bands locali, dobbiamo anche notare che il pubblico è pienamente soddisfatto dalla scelta della line-up, come se non ci si aspettasse altro. Naturale che in un festival che si tiene a Oslo l'attenzione si debba focalizzare sulle band norvegesi. Il festival è un punto di incontro per amanti del genere, che convergono qui da tutto il paese, ed in piccola parte dall'estero. L'Inferno Festival in realtà non è pensato per fare soldi, ma come appuntamento fisso per un nutrito gruppo di amici e persone con interessi in comune. Il locale non accoglie più di un certo numero di persone, e va bene così. La zona del photo-pit è piccola e riservata a pochi eletti. Tanto non c'è mai ressa fuori dalle transenne, ed in qualche maniera si riesce sempre a stare nelle prime file. Lasciamo l'hotel Christiania (che per chi non lo sapesse è il vecchio nome di Oslo), dove il party proseguirà fino a domenica, aperto a tutti quelli che hanno voglia di sedere sui grossi divani, bere una bionda e magari "rischiare" di incontrare qualcuno di coloro che suoneranno nei prossimi giorni (sì, perchè tutti alloggiano lì, e l'albergo è grande a sufficienza per ospitare anche tanti fan, oltre che privo di controlli all'ingresso..), e raggiungiamo il Rockfeller, in pochi minuti di cammino. D'altra parte Oslo non è una grande metropoli, ed il centro della città si percorre tutto a piedi senza problemi in poco tempo. Giorno uno - giovedì santo. La prima band che abbiamo visto nel corso di questo weekend sono gli Iskald, provenienti dal nord della Norvegia. Il loro metal crea una speciale atmosfera, grazie ai testi estremamente evocativi ed agli inserti ambient della loro musica. Il pubblico, un po' freddo all'inizio, si scalda progressivamente, soprattutto quando vengono affrontate le tematiche anticristiane, come da tradizione, e nonostante sia una delle prime band a suonare sul grande palco del Rockfeller, riescono a catturare l'attenzione di chi ascolta. Ci spostiamo dunque nel seminterrato, dove si trovano i locali del John Dee per vedere lo show degli Zygema. La band indiana è in Norvegia in virtù del progetto di scambio musicale esistente tra i due paesi, finalizzato alla migliore comprensione delle due culture, alla costruzione di reciproco rispetto nonchè alla realizzazione di eventi musicali, con band provenienti da entrambi i paesi sullo stesso palco. Dalla Norvegia all'India e viceversa, interessando band metal come Satyricon edEnslaved, e quindi come già detto, gli Zygnema. Gli indiani suonano un hardcore molto veloce, e non è difficile cogliere le influenze di Sepultura e i vecchi Pantera. Il vocalist molto energico contagia il pubblico, rendendo il concerto una bolgia di teste in full headbanging. Abbiamo appena il tempo di tornare al palco principale che inizia lo show dei polacchi Hate. Si presentano con un bel facepainting, ed il loro stile è pulito e facilmente riconoscibile, anche se si sente l'influenza dei Behemoth. Una tecnica estremamente precisa è il marchio di fabbrica della band, soprattutto Mortifer al basso si distingue per bravura e precisione, oltre che per un'inconfondibile attitudine. Una brutta sorpresa sapere che solo pochi giorni dopo lo show viene ritrovato morto in una camera d'albergo in Germania. La prossima band che andremo a vedere sono i norvegesi/danesiFaanefjell, la cui peculiarità è il linguaggio misto norvegese/danese, appunto. Una band che non avevamo mai visto prima, ma che sorprende piacevolmente. I membri del gruppo sono vestiti con abiti che richiamano fortemente l'abbigliamento tipico dei montanari norvegesi del secolo scorso, maglioni di lana fatti a mano, coda di volpe appesa alla cintura e piedi scalzi, ma riscuotono un discreto successo tra il pubblico, che si lascia trascinare dietro a ritornelli orecchiabili ed un'atmosfera molto più che gioviale. Storie di troll riuniti per cacciare gli esseri umani dalle loro terre ed epopee fantastiche continuano ad essere un traino nelle tematiche delle band folk metal, ed i Faanefjell non sono un'eccezione. Aspettandoci un enorme cambiamento di genere ed atteggiamento, e le nostre aspettative non verranno ovviamente deluse, ci spostiamo di nuovo davanti al palco principale, dove una delle band svedesi più oscure sta per esibirsi. Sono iDark Funeral, che con l'alternarsi del nuovo singer e di mr. Caligula alla voce lasciano pienamente soddisfatti sia noi che il pubblico. L'ìntro crea un'atmosfera tenebrosa, che esplode in una bolgia infernale subito dopo conThe arrival of Satan's Empire, trascinata da un drumming incredibile. Molti pezzi classici deliziano lo zoccolo duro dei fans più fedeli, alternandoli equamente a brani più recenti, ma l'apice del pathos si raggiunge con la dedica di Open the Gates a David "Blackmoon" Parland, la cui morte è arrivata di sorpresa pochi giorni prima dello show. Un festival macabro, quest'anno. Dopo lo show degli svedesi facciamo una rapida pausa, durante la quale andiamo a mettere qualcosa sotto ai denti. Oslo è un enorme ed incredibile melting pot, nel quale innumerevoli culture si mescolano amalgamandosi, ed ad ogni angolo di strada troviamo un piccolo ristorante o un fast food con cibo da ogni parte del mondo. Noi siamo aficionados del ristorantino turco, coi suoi deliziosi felafel e le piadine fatte a mano, ma le tentazioni sono innumerevoli. Torniamo appena in tempo per veder l'inizio del concrto dei Taake, un'altra band norvegese che negli anni è riuscita a ritagliarsi una nicchia di fans nello sterminato paesaggio di band black metal. I riferimenti al black delle origini, quello dei primi Dark Throne per intenderci, sono davanti agli occhi di tutti, ma al tempo stesso la band se ne allontana decisamente, per sviluppare uno stile abbastanza originale e unico. Il frontman Høst è un personaggio inconfondibile, ha un carisma ed un'energia incredibili, donando un gran plusvalore alla band, oltre al fatto che indossa il facepainting con eleganza, a differenza di innumerevoli wannabe-black metal people contemporanei. Ciò che sorprende di più però è il secondo singer, che non riconsco subito, a differenza di Hex che anzi mi suggerisce di non avvicinarmi troppo, almeno fino a quando questo strano individuo si trova sul palco. Trattasi infatti dell'incappucciato, psicopatico cantante degli Shining, risposta svedese a G. G. Allin. Mr. Niklas Kvarforth, che microfono in una mano e bottiglia di Jack Daniels nell'altra (che svuota generosamente in testa ai fotografi accucciati nel pit..) urla e si dimena, colpisce qualcuno delle prime file con l'asta del mirofono e poi si inginocchia davanti a Høst, andando ad aprire i pantaloni attillati e facendo non vedo cosa con il suo pisello. Beh, che sia un artista unico nel suo genere si sapeva, non è da tutti incitare la propria audience a suicidarsi, fornendo addirittura una lametta nei cd per agevolare il tutto, o colpire il proprio pubblico..Tuttavia il suo intervento scivola via tranquillo, seguito poi da altri guest singer, comeJørn Inge Tunsberg degli Hades Almighty, antico compagno di merende e barbecue (..) del "conte" Vikernes, che rivedremo sabato con la sua band. I Taake ci consegnano uno show potente e maligno, le parti di chitarra sono ineffabili e l'atmosfera che si viene a creare è a dir poco perfetta, come anche la risposta del pubblico. Ancora eccitati dall'eccellente show dei Taake ce ne torniamo al più tranquillo John Dee, per vedere la celebrity band Chrome Division, nella quale militano tra gli altri Shagrath dei Dimmu Borgir e Lex Icon dei Kovenant. I nostri fanno un buon stoner-rock, gettando il pubblico nel pieno di un nachspiel (party casalingo e alcolico nel quale i norvegesi si buttano dopo aver bevuto ad una festa, nel caso non ne avessero avuto abbastanza), ed il pubblico reagisce in maniera entusiasta all'atmosfera festaiola dello show. Il singer canta, lattina di birra in mano e sigaro cubano nell'altra, occhiali da sole a specchio e i lunghi capelli neri raccolti in una coda di cavallo, e se la rida, non c'è dubbio che debba essere divertente esibirsi per un pubblico che canta e beve alla tua salute! Soddisfatti e di buon umore siamo pronti all'ultimo show della serata, una band che a differenza di tutte le altre che hanno suonato nel corso della prima serata, fa un classico e genuino death metal, i Deicide, che personalmente era la band che più avevo voglia di vedere, anche se aspettare l'una di notte con gli occhi aperti non è stato facile. C'è comunque un discreto pubblico, nonostante abbiano fatto il loro lavoro per quasi 30 anni ormai, e non abbiano mai virato dalla strada principale. Il pubblico risponde con boati alla performance di classici come Dead by Dawn, Once upon the Cross e Serpent of the Light, e ci si butta nel pogo più agitato, tenendo sempre a mente che si tratta del pubblico norvegese, altrimenti abbastanza tranquillo. Per tutto il festival saranno senza dubbio i Deicide a provocare più eccitazione nell'audience, e per questo meritano tutto il mio rispetto. Il loro essere ancora legati alle vecchie tradizioni fa quasi tenerezza, come quando il buon Glen Benton lancia sul pubblico una manciata di plettri, che sorprende ed eccita il pubblico allo stesso tempo. Tra una song e l'altra non manca di interagire con il pubblico, ma appena la musica riparte fissa lo sguardo in un indefinito punto in alto, come se stesse precipitando in una specie di trance e fosse davvero in grado di trasmettere il suo odio verso quel dio oltre le nuvole, che probabilmente non avrebbe avuto il coraggio di guardarlo dritto negli occhi.
Giorno due - venerdì santo
Venerdì mattina ci svegliamo tardi, è una pessima giornata e la batteria della videocamera non è carica per qualche oscuro motivo. Mentre aspettiamo che tutto torni al suo posto andiamo a fare un giro negli stand di cd e vinili nel bar dell'Hotel, e ci fermiamo incuriositi al piccolo stand di Kim Holm, un fumettista norvegese nominato al premio per fumetti per il 2013, che in tempo reale dipinge grossi ritratti delle band presenti all'Inferno mentre si esibiscono, naturalmente tradotte nel suo unico linguaggio artistico, uno stile bizzarro e nevrotico. Kim se ne sta in un angolo, accanto al palco mentre le band si esibiscono, pennelli ed inchiostri vari alla mano, sta lì a tamburellare, dipingere e spruzzare colore su dei fogli da disegno, o forse sono delle tele, non saprei dire con sicurezza. Allo stand Kim ha una cartellina con alcuni dei suoi dipinti precedenti, dato che tutto ciò che invece viene prodotto durante il festival si può visionare all'interno del Rockefeller, in una mostra allestita accanto agli stand di magliette e cd. Facciamo un giorno per il centro di Oslo, popolato da pochi turisti che probabilmente non sapevano che qua i negozi restano chiusi tra il giovedì santo e il lunedì dopo Pasqua, tranne qualche ora sabato mattina, e poi torniamo nella nostra stanza. Raccattiamo il taccuino e macchina fotografica, finalmente pronta all'uso, e raggiungiamo il rockefeller giusto in tempo per scoprire che i Ghost sono stati sostituiti all'ultimo dagli svedesi Witchcraft, che devono essere stati svegliati di soprassalto, dato che il cantante se ne sta tutto spettinato e stordito con la camicia fuori dai jeans e gli occhi sbarrati. L'impressione che mi fa questa band non è delle migliori, nonostante riscuotano un discreto successo tra il pubblico. Il loro doom-metal segna una grossa frattura con il sound delle altre band che riempiono la bill, anche se l'atmosfera un po' trance contagia chi se ne sta magari ancora con l'hangover della sera prima, ad ascoltare. Lasciamo il concerto mentre i due chitarristi si lanciano in un assolo dopo l'altro, un po' pesante per chi non è fan della band, almeno secondo il mio punto di vista, e scivoliamo nel sotterraneo, aspettando i Carach Angren. E non ce ne pentiremo, dato che la band olandese riempirà fino all'orlo il piccolo John Dee, tanto che dopo un po' la security dovrà chiudere l'ingresso ai fan, e lasciar entrare una persona alla volta, non appena qualcun'altro avesse deciso di uscire. La band si presenta con un bel face painting, ed il loro sound è chiaramente ispirato a coloro che nel black li hanno preceduti. Gli inserti sinfonici sono al posto giusto, e siamo piacevolmente sorpresi sia dal growl che dalle chitarre, tanto che ci ripromettiamo di investigare più a fondo su di loro una volta tornati alla normalità. Nonostante siano soltanto in tre a calcare le scene, il sound riempie completamente l'orecchio e non abbiamo la sensazione che qualcosa manchi, ne nella parte ritmica, ne tanto meno in quella melodica. La band pecca semmai un po' di poca originalità, e con quasi dieci anni di esperienza alle spalle ci si poteva aspettare qualcosa di più, nonostante come già detto siano pienamente godibili. Una delle maggiori band della serata sono i portoghesi Moonspell, che personalmente non vedevo da un bel po'. In effetti, come afferma lo stesso Fernando, era da diversi anni che non mettevano piede in Norvegia, nonostante siano stati sulla scena ormai da vent'anni. Per festeggiare la ricorrenza il loro show è stato un'edizione speciale riservata al pubblico norvegese, una specie di tributo a se stessi, eseguendo il best of dei soli brani inclusi nei primi due album della band. Ovviamente i fan apprezzano questa scelta, e si lasciano trasportare sulle ali della nostalgia, unendosi a pieni polmoni ai cori dei ritornelli, rendendo lo show un evento speciale e, lasciatemelo dire, un po' magico. Ancora galleggiando nell'aria dopo la bella esibizione dei Moonspell ce ne torniamo di sotto per vedere i norvegesi Purified in blood, e con loro si torna a sonorità più aggressive, con un metal al limite dell'hardcore. Il vocalist è molto energico, e contribuisce ad innalzare i battiti cardiaci del pubblico, mentre un ottimo lavoro di chitarrista e bassista rendono godibile l'esibizione. Headliner della serata sono però i Suffocation, una band quasi leggendaria con venticinque anni di carriera death alle spalle. A dispetto del suo aspetto, lunghi dreads scuri e sorriso gentile, il chitarrista è quanto di più lontano dal reggae si possa immaginare, ed entrambe la sua precisione e la sua potenza sono degne di rispetto. La band suona senza mai rallentare, agitandosi come tarantolati in preda a convulsioni, ed è così che ci piacciono. Il vocalist è in piena forma, di ottimo umore e ci delizia con i suoi racconti nichilistici sull'assenza di una vita dopo la morte, alternandoli a racconti tratti dalla sua quotidianità familiare, senza risparmiare sorrisi bonari e boccacce. La perfetta esibizione della band, Mr. Frank Mullen in testa, si conclude quasi alle due di notte, e ci lascia andare a dormire con la sensazione di aver confermate quelle che erano le nostre aspettative: ancora dopo tutti questi anni si confermano essere una band in perfetta forma, affatto annoiati dal brutal death o indirizzati verso sperimentazioni più o meno lecite, ma invece pienamente appagati dal genere, come se non si potesse desiderare di meglio. E devo dire che siamo d'accordo.
Giorno tre - sabato santo
L'utimo giorno di festival è sempre un misto di stanchezza e disapprovazione nei confronti di un festival che è finito troppo in fretta, ma a farmi tornare il buon umore è il negozietto di articoli rock, che per fortuna vende anche scarpe da ginnastica. Non consiglio a nessuna di dimenticare di mettere qualcosa senza tacchi nella valigia, quando si parte per un festival di tre giorni. Torno di corsa al Rockefeller, ed insieme al fido Hex siamo pronti per una sfilata di concerti e birre. Prima però facciamo un ultimo giro nei locali del Rockefeller, per dare un'occhiata anche agli stands dei tatuatori e alla mostra del fotografo rock/metal Stig Pallesen, presente anche al festival con la sua macchina fotografica. La prima band che vediamo esibirsi sul palco principale sono i finlandesi Baptism, che fanno un blackmetal buono ma lontano dall'essere originale. Il vocalist ha un enorme cappuccio che lo fa assomigliare ad un monaco, e la sua esibizione è piena di pathos, anche se del tutto focalizzato nel voler apparire maligno ad ogni costo. Anche gli altri membri della band sono alquanto tranquilli, e questo può facilmente diventare un tratto distintivo in una band di questo genere. Quando ci spostiamo di sotto per vedere i Mos Generator non sappiamo cosa aspettarci. Nè io nè Hex conosciamo la band, quindi aspettiamo l'inizio del concerto con curiosità. La band è composta da tre membri tutti provenienti da Port Orchard, e la loro tecnica è impeccabile, anche se un paio di canzoni sono puramente strumentali a causa della cattiva salute delle corde vocali del vocalist. Il concerto è tuttavia ottimo, il loro sound stoner risente di influenze anni '70, perfettamente amalgamate fra loro, ed i tre roccheggiano come se fosse la cosa più naturale del mondo, costruendo un'atmosfera rilassata come quella di una serata tra amici, un po' come già accaduto con i Chrome Division qualche sera fa. Facciamo di corsa le scale per tornare al palco grande, dove si stanno per esibire gliHades Almighty, una band che personalmente sono curiosa di vedere. Anche questa band è esistita fin dagli albori del Blackmetal, ed i membri sono stati in un modo o nell'altro coinvolti in diversi degli eventi che hanno fatto del black un fenomeno noto in tutto il mondo. I brani non sono estremamente veloci, ma la tecnica dei musicisti è invidiabile. Come alcune delle altre band che abbiamo visto in questi giorni, non sono molto energici e si limitano quasi puramente ad esibire i pezzi in scaletta. Il pubblico gradisce tuttavia lo show, ed esplode in un boato quando i nostri si tuffano nella performance di Alone walking, un vecchio pezzo degli Old Funeral, band primordiale blackmetal nella quale, come si sa, militavano ancheAbbath e Vikernes. Da notare anche la partecipazione, nei primi minuti della song, di Høst dei Taake, che senza facepainting, appena uscito dalla doccia e con addosso la sua inseparabile giacca di pelle sembra proprio un ragazzino addirittura un po' impacciato, nonostante le lenti a contatto bianche, unico dettaglio di una mise che altrimenti non desta particolari reazioni. Dopo aver lasciato il locale per andare a racimolare qualcosa da mangiare, torniamo giusto in tempo per vedere i Solefald. A loro dire questa è la prima volta che suonano a Oslo, che in realtà è la loro città. Si fanno comunque immediatamente notare per la loro volontà di distinguersi dagli altri, ed hanno con sè un pittore locale, Christopher R. Rådlund, che dipingerà su una grande tela per tutta la durata del concerto. I due membri fondatori della band, Cornelius e Lars, si alternano al microfono, e compongono una bella armonia tra i due diversi generi di cantato. Questa è una band di una caratura estremamente differente dalle altre band che abbiamo visto in questi giorni, anche per via del fatto che Cornelius è ormai più noto in Norvegia per i libri che ha scritto che per la sua musica. Lo stesso Cornelius si presenta sul palco con un abbigliamento a metà tra Fidel Castro ed un soldato nazista, come a voler sottolineare la estraneità della band a rapide catalogazioni. Anche il sound è lontano dall'essere univocamente definibile, dato che i nostri spaziano tra vari generi anche all'interno di una stessa song, e la band asseconda i loro desideri in maniera impeccabile, mentre un pubblico che sicuramente aveva aspettato a lungo questo show non manca di rispondere entusiasta (tra i quali anche io, che sulle note di Coco Chanel,welcome to hell mi butto nel karaoke - ah che tempi!). Scendiamo dunque per l'ultima volta al John Dee per vedere i Diskord, norvegesi anche loro, nemmeno a dirlo. I tre sono estremamente dotati, musicalmente parlando, e si dimostrano a differenza di quello che ci si aspettava, talmente interessanti da farci venire voglia di scavare più a fondo nel loro curriculum. Il batterista è il principale vocalist della band, cosa alquanto insolita per un genere dal così elevato livello tecnico, ma questo non è assolutamente un handicap, ma anzi ancora un altro punto a favore della band. Ed eccoci infine, poco dopo la mezzanotte, ad aspettare il concerto dei Satyricon, padroni di casa. Poco prima del concerto veniamo a sapere che non sarà permesso fare foto allo show, e che la security andrà in giro per il locale a sequestrare le macchine fotografiche. Ce ne andiamo perciò a sedere in galleria e ci godiamo una birra ed il concerto come quando avevamo 18anni. Questo è l'unico concerto ad iniziare con un po' di ritardo rispetto alla tabella di marcia, ed il microfono dall'asta a forma di grosso forcone, simbolo distintivo della band, ci fanno sospettare che la band si senta un po' troppo rockstar. D'altra parte Satyr è noto per essere un amante dell'esclusiva, si produce il proprio vino ed il proprio champagne, ed è anche un ammirato intenditore, ricevendo diversi riconoscimenti ai suoi prodotti dal marchio Wongraven, il cui simbolo, manco a dirlo, è un satiro che saltella sugli zoccoli. La band si presenta senza facepainting, a voler ancora una volta sottolineare il loro distacco da una scena ormai outofdate, ed il baffo rivolto verso il basso di Fenriz ricorda vagamente quello di un imperatore cinese. Tornando però a parlare dell'aspetto musicale, non c'è assolutamente alcuna critica da fare. La potenza è quella di sempre, c'è un bilanciato equilibrio tra vecchi cavalli di battaglia, e pezzi più recenti, ed il pubblico è in delirio, con gente che canta a squarciagola e ragazze che saltano e gridano mostrando le corna. La band ci regala anche un doppio encore, durante il quale l'eccitazione raggiunge livelli immensi. Davvero una gran band, che merita tutto il successo che ha riscosso nel corso degli anni. In conclusione il festival è stato un mix di diversi generi musicali e diversi motivi di interesse, come ogni anno. La presenza dell'arte in diverse delle sue forme, dal disegnatore che ritrae gli artisti nel momento della performance alle fotografie che bloccano l'headbang nella sua dinamicità, al pittore che dipinge sullo stage a due passi dal concerto nel pieno dell'accadere, oltre ovviamente ai musicisti stessi, è un'indicazione della direzione che forse questo tipo di festival dovrebbero seguire. Non più soltanto birra e timpani sfondati, ma anche un'occhiata verso la contaminazione sia tra generi musicali che tra diverse forme d'arte. L'Inferno festival è sempre stato alla ricerca di deviazioni di questo tipo, ricordo qualche anno fa anche i piccoli pezzi teatrali, o le sfilate di modelle gotiche vestite e truccate dalla bravissima artista residente a Oslo, Mad Red, o ancora i tatuatori provenienti dall'America, a sottolineare il tentativo di distruggere le barriere che naturalmente un festival metal porta con sè.