Ormai quasi dieci anni fa, per solo pochi mesi, ho abitato a Collescipoli.
Di quel poco tempo ho ricordi nebbiosi di salite interminabili, parcheggi impossibili ed una vista mozzafiato sulla conca ternana. Un piccolo ristorante ricavato in una grotta, un minuscolo bar con un paio di tavolini all'aperto. Le vie strette e diritte di un piccolissimo borgo medievale ancora rinchiuso nelle sue alte ed intatte mura di cinta. Una pianta di uva fragola appena fuori la mia finestra, gatti randagi e pigri, impavidi, il tempo che scorreva lento. È di quel periodo quella catena di eventi e coincidenze fortuite in virtù dei quali sono entrata di soppiatto nel mondo creato dai fratelli Vanni, sentendomi d'improvviso a casa.
Collescipoli è, come accennato sopra, un paese piccolo e tranquillo, dove il tempo sembra quasi essersi fermato a qualche decina di anni fa, quando la rivoluzione tecnologica ancora non era entrata nel suo periodo d'oro. Le signore siedono sulle loro sedie di legno davanti alla porta di casa, qualcuna si affaccia alla finestra o al balcone per guardare con curiosità il carosello pazzo degli ospiti e degli artisti. I bambini si rincorrono per la strada, che tanto le - rarissime - automobili vanno piano. La magia delle notti d'estate fa il resto. L'odore del barbecue, il vociare e le risate della gente, l'eco della musica che arriva da ogni vicolo o stradina, l'aria finalmente fresca della sera che gentile entra sibilando dalle porte aperte nelle mura. Innegabile che le quinte di questo festival abbiano un fascino tutto loro, e che le melodie lo amplifichino enormemente fino a costruire un'atmosfera irripetibile.
La vista sulla città di Terni. |
Ogni pomeriggio, al nostro arrivo le bandiere poste ai lati all'ingresso principale del paese, quello rivolto verso ovest, ci davano il benvenuto, sventolando in sincrono col vento tiepido, che a Collescipoli è cittadino onorario. Una volta oltrepassata la porta ci si trova come in una grande stanza, che le mura del paese hanno contemporaneamente la funzione di fare ombra e di tenere al sicuro gli abitanti. A partire da qui la strada che attraversa per lungo il paese è tutta in salita, una salita ripida e diritta, come se una lama lo avesse tagliato in due. Ai due lati di questa strada sono piccoli negozi, una taverna con pochi tavoli all'aperto ed un gruppo di sedie di legno e paglia intrecciata sulle quali siedono, chiacchierando ad alta voce e seguendo gli ospiti con lo sguardo, un gruppetto di donne che probabilmente avrebbero avuto le loro sedie in strada anche senza la scusa del festival. Il marciapiede a Collescipoli non esiste. In realtà non ce n'è affatto bisogno, sono ancora le persone ad avere la precedenza, e non le vetture. Con un buon paio di scarpe ai piedi, il programma in mano ed una bottiglietta d'acqua sempre in borsa camminiamo avanti ed indietro, e soprattutto su e giù per il paese, seguendo solo il suono degli strumenti.
La chiesa di Santa Maria Maggiore. |
Il palco davanti alla chiesa di Santa Maria Maggiore è il primo davanti al quale facciamo una pausa, dopo aver percorso quasi per intero la salita ed esserci fermati volgendo appena lo sguardo verso destra e scorgendo così una piccola folla che con tranquillità si sta dirigendo verso la chiesa. Questo angolo di paese è senza dubbio uno dei miei preferiti, grazie alla suggestiva illuminazione ed alla selezione di band, a mio avviso un po' fuori dall'ordinario, ma mai troppo lontane da un sound piacevole e pienamente godibile. Diverse volte nel corso del festival ci siamo seduti davanti al baretto lì accanto, con qualcosa di fresco nel bicchiere e gli occhi puntati allo show. Una delle band che ci fermiamo ad ascoltare è un quintetto dove l'uomo al microfono, con la sua voce morbida e flessibile segue ed accompagna abilmente l'andamento degli strumenti, mentre questi creano un atmosfera rilassata e calda, seppur ritmata. Ci sono anche degli alberi, nella piazzetta, che offrono un po' d'ombra a chi si siede sui gradini davanti al sagrato della chiesa, o sulle soglie delle abitazioni tutt'intorno. A due passi dalla piazzetta, continuando sulla sinistra per un vicolo ricurvo, arriviamo in una minuscola piazza dalla forma di anfiteatro, dove accanto alla fontanella si trova un palco grande appena per far posto ai musicisti. Il trio, che sta già suonando quando arriviamo, è molto più vivace dell'altra band, la batteria si fa sentire con decisione ed il basso va a costruire un tappeto ricco di personalità, mentre le mani del pianista guidano l'andamento della melodia in maniera sicura. Il poco pubblico è entusiasta, e va progressivamente ingrossandosi in quanto chiunque si trovi a passare di lì, anche per sbaglio, non può fare a meno di essere travolto dai ritmi andanti e rapidi, in molti si siedono sui gradini delle abitazioni poste a semicerchio intorno al palco e vedo che anche i locali sono divertiti dalla performance, affacciati alle finestre o poggiati sulle ringhiere dei piccoli balconi. Mi accorgo adesso improvvisamente di quanto i collescipolani abbiano preso sul serio la kermesse, ed abbiano decorato ogni angolo di paese con vasi ricolmi di fiori, appesi a ganci improvvisati, poggiati sul davanzale di una finestra oppure in un grosso vaso davanti la porta di casa. È importante mostrare a quella piccola parte di mondo che si ritrova qui in questi tre giorni che Collescipoli non è solo un piccolo borgo rimasto alla metà dei '60, ma un luogo magico, dove le persone sorridono e si impegnano affinché gli ospiti si sentano accolti con calore.
Mentre ci avviamo verso la terza location torniamo a passare davanti alla chiesa, dove un altro concerto sta iniziando. Le atmosfere sono più cupe questa volta, la musica si snoda veloce su scale aspre e la sola luce blu che illumina la band finisce per acuire quel sentimento ansioso che si genera in me, come se stessi assistendo ad una scena concitata di un thriller. Il desiderio di Luciano Vanni (mi confiderà lui stesso in quelle poche parole che ci scambieremo un paio di giorni dopo davanti ad un caffè) quando mette insieme le band che si esibiranno, è quello di riunire in un solo luogo le atmosfere più disparate, generi anche lontani gli uni dagli altri, per dar voce alla creatività in ogni sua forma, senza badare al fatto che ogni genere, ogni melodia non necessariamente incontrerà il favore di tutti, proprio perché gli ospiti del festival sono variegati, mancando il filtro del biglietto da pagare (non l'avevo detto? I concerti sono tutti gratuiti), e quindi chiunque, dal paesano che non ha mai visto altro che la sagra dello gnocchetto alla famiglia con i bambini, ed ancora all'esperto di jazz possono trarre piacere da uno show anziché da un altro, e questo è imprevedibile. Quello che conta qui, non sono i gusti di ognuno, ma la qualità del prodotto che si presenta dal palco nel corso del tempo a disposizione, e che è sempre stata eccellente, almeno a giudicare dai concerti ai quali ho assistito.
Verso la fine della serata entriamo nel chiostro di quello che una volta era un monastero, dove si trova il palco principale del festival. Lo sguardo corre veloce sotto i portici illuminati di rosa, come a voler vivere quegli spazi una volta silenziosi e percorsi solo da suore nelle loro passeggiate meditative. Una band suona una quasi-cacofonia che richiama vagamente il sapore torrido e rilassato di un pomeriggio pigro d'estate, edificata su uno stabile xilofono che va a tessere la struttura sulla quale scivola la melodia. Ipnotica e coinvolgente, la band ha raccolto davanti a sé un nutrito pubblico, che siede divertito, anche per terra, e non ha intenzione di andarsene nonostante si stia avvicinando la mezzanotte. Noi invece andiamo via appena terminata la musica. Stanchi per il caldo e la lunga giornata ci avviamo giù per quella che quando siamo arrivati era una salita, ma che adesso scende ripida verso la porta di ingresso del paese, che ancora pullula di gente e bambini che con voci squillanti hanno ancora voglia di rincorrersi, trovando l'energia nell'atmosfera di festa che si respira.
Poco dopo aver superato la metà della discesa, ci accorgiamo che da una porticina aperta sulla parete di un edificio sulla destra giunge una melodia sussurrata, ovattata dalle mura spesse, e gettando lo sguardo all'interno, una volta superata la sorpresa, ed una volta che l'occhio si sia abituato alla penombra dell'ambiente, totalmente privo di finestre, vediamo che in molti sono già seduti sulle panche disposte in file parallele, e con attenzione seguono l'esecuzione impeccabile. Ci affrettiamo a trovare un posto, e ci rendiamo così conto di essere in una piccola chiesa. Le decorazioni alle pareti non lasciano adito ad alcun dubbio, e al posto dell'altare c'è un pianoforte a coda. Una donna lo sta suonando piano, i lunghi riccioli rossi riflettono la luce di un riflettore alle sue spalle, ed io non riesco a vederne il volto, in controluce. In fondo però non importa, è la musica che conta adesso. Dall'altra parte del piccolo palco è un uomo al contrabbasso.
Quando fanno una pausa, tra un brano ed il seguente, ci dice che per loro è la prima volta insieme dal vivo, ma la sintonia tra loro si sente vibrare. Rimaniamo per tutto il resto del concerto, breve ed intenso, la chiesetta è gremita, ed il pubblico se ne sta in silenzio, appeso ad ogni nota. Anche se l'aria è pesante da respirare, l'ambiente chiuso e ci stiamo stringendo per non disturbare chi ci siede accanto, il contrasto tra le decorazioni eccessive della chiesa e la sobrietà della musica cattura la mia mente, e mi porta in un volo leggero, interrotto soltanto dal silenzio che d'improvviso esplode alla fine del concerto.
Se nel corso della prima giornata ci dimentichiamo completamente di mangiare qualcosa, la seconda sera ci concediamo una cena con degustazione di vini al roof bistrot, situato sulla terrazza del monastero. La musica dell'orchestra che sta suonando nel chiostro di sotto ci arriva come a fare da sottofondo al pasto, un menù costruito su misura per gli ospiti del festival, con ingredienti prelibati, tutti coltivati in modo naturale a pochi chilometri di distanza. Lo spesso davanzale della terrazza dà direttamente sul chiostro ed ognuno come in una fila invisibile aspetta il suo turno per sporgersi e guardare di sotto, verso il palco colorato di rosa ed il pubblico assorto, dalle facce rosa anch'esse.
Il mio sguardo però, mentre mastico in silenzio assaporando gli aromi ed i sapori, vaga di continuo verso il cielo stellato sopra di noi. Rifletto molto su quanto sia sorprendente che in così tanti abbiano deciso di dare il loro contributo volontario a questo evento dal raggio d'azione così ridotto, che l'intera popolazione del paese si sia tirata su le maniche per garantire agli ospiti un'esperienza indimenticabile e quasi magica. Bambini fieri del loro pass si danno infatti da fare per risolvere tutti i dubbi e rispondere alle domande più disparate dei visitatori, ragazzini alla soglia dell'adolescenza vanno in giro per le strade ad attirare l'attenzione di un pubblico distratto verso una specie di cripta, dove una band molto speciale si sta esibendo, combinando il suono ubriaco di un didgeridoo ai suoni contemporanei della chitarra elettrica. Associazioni e privati hanno offerto gratuitamente cibo, acqua, tovagliette e posate usa e getta. In tanti si sono prodigati, senza ricevere in cambio altro che gratitudine, e questo assomiglia davvero ad una bella, piccola favola tutta italiana, quasi magica.
Ma non è finita qua. Il festival ha molto altro da offrire nel corso di questi tre giorni. Come il picnic musicale, ad esempio. Metti che ti svegli una domenica mattina, il sole è già sopra l'orizzonte e la temperatura sta salendo in fretta. Allora ti metti in macchina e vai a cercare un luogo fresco, come una fattoria che se ne stia un po' in alto, sulle colline umbre tutte verdi tra Terni e Narni, dove non arrivi neanche il suono del traffico, e dove l'occhio possa adagiarsi sul verde e riposare. Qualcuno ha già disteso delle tovaglie sull'erba, all'ombra di grossi alberi, ha preparato dei panini e una crostata di marmellata. C'è un clown che intrattiene i bambini con giochi di prestigio, sua moglie fa degli animali annodando palloncini. All'ombra del gazebo una band sta già suonando, e non ti resta altro che scegliere dove sederti, respirare profondamente e chiudere gli occhi, godendoti l'attimo fino alla fine, che non c'è fretta, i concerti non inizieranno che prima delle sei di pomeriggio, quindi puoi prendertela con comodo.
L'ultimo pomeriggio del festival ha fin da subito il profumo della malinconia che contraddistingue gli addii. Prima che i concerti abbiano inizio ci si ritrova nella chiesa di Santa Maria Maggiore per una messa dedicata a due uomini molto amati. Il trombettista Marco Tamburini ed il fotografo Sergio Coppi. In molti si sono dati appuntamento nella chiesa afosa mentre il prete parla concitato del dolore di perdere qualcuno, del vuoto che rimane dentro. Quando usciamo ci fermiamo un po' al solito baretto, e mentre prendiamo una birra fresca di frigorifero la signora dietro al bancone ci racconta del matrimonio che c'è stato nella chiesa quella stessa mattina, bello eh, un po' caotico, e poi gli sposi non avevano i bicchieri per brindare, e allora la signora glieli ha prestati, e quelli li hanno rotti e non hanno nemmeno chiesto scusa, se non sono solo andati senza neanche ringraziare, che modi. Per questo mi versa la birra in due bicchieri di plastica, che non si sa mai. Dopo aver ripreso fiato decidiamo di fare due passi per gli stands disseminati per il paese, oggettini fatti a mano, libri pubblicati da una piccola casa editrice indie, merchandising del festival, LP nuovi e usati, strumenti musicali, un uomo che ha allestito un presepe enorme nell'androne del palazzo, ci invita dentro per mostrarcelo, ci offre pasticcini e ci racconta del suo orticello pensile, mostrandoci le sue piantine officinali nei bei vasi di terracotta, che adesso li ha tirati dentro per mostrarli al pubblico, per ispirare altri a fare lo stesso, ma da domani torna tutto sul balcone, che alle piantine piace il sole. Nel primo piano del chiostro troviamo i rullanti artigianali fatti a mano da Pippo Maniaci, lucidi e perfetti, appresso poi delle chitarre elettriche colorate ed una mostra d'arte ispirata alla musica. Tornando in strada, e passeggiando verso la fontana del paese ci imbattiamo nello stand variopinto di Matera, che sarà capitale europea della cultura nel 2019, ci informa il vistoso portavoce: un uomo alto dai capelli lunghi e la barba di qualche giorno, cappello panama in testa, che va in giro per il paese cantando al microfono nel suo dialetto affascinante ma incomprensibile (e sì che mia madre parla napoletano con me, quindi ci si aspetterebbe che riuscissi a decifrare anche il materano), il quale non esita ad offrirci un po' del loro fantastico pane, del loro aspro olio di oliva, un bicchiere di vino e delle albicocche (che su in Norvegia sono praticamente introvabili), sorridendo e facendoci promettere di venire a trovarli tra qualche anno. Incontriamo anche una giovane big band itinerante, tutti vestiti di rosso e pieni di entusiasmo, che passeggiano e performano in giro per il paese, poi un gruppo di ballerini swing che occupano il suolo pubblico con le loro danze spensierate, coinvolgendo oltretutto non pochi dei passanti e che continueranno a ballare fino a notte fonda, fino a quando le gambe non ce la faranno più, e gli occhi si chiuderanno da soli. Poi ancora il gruppo della Poesia in Azione, che con sottofondo di musiche improvvisate mettono in scena nei vicoli del paese il concerto sensoriale, sfidando i passanti a dare la loro interpretazione della poesia, creando un'alchimia irreale tra parola e musica, tra concreto ed impalpabile.
E poi alla fine, come ogni volta viene la malinconia. Le ore scivolano via in fretta e quando ormai ci si avvicina alla fine di questo breve ma intenso sogno ad occhi aperti, rubiamo qualche decina di minuti per sederci fuori dalle mura, sullo spesso balcone del belvedere che ha da poco visto il sole tramontare. Il vento di Collescipoli soffia tiepido, gli uomini della croce rossa sono a pochi metri da noi, siedono anche loro, il festival è scivolato via senza intoppi, anche se loro in ogni caso erano pronti. Guardiamo di sotto, verso la vallata avvolta nel primo buio, il vento ci porta le note del Collettivo Casa Cava di Matera, l'uomo dalla barba non fatta ed i capelli lunghi sta cantando nel suo dialetto, sembra quasi mi auguri la buona notte, anche se in realtà io non vedo lui e neanche lui vede me. È il tempo dei saluti. Andiamo in giro stringendo mani ed abbracciando vecchie compagne di scuola incontrate per caso, respirando un'ultima volta l'aria fresca della sera collescipolana. Chiedendosi se davvero tutto questo sia stato realizzabile basandosi solo su volontariato e donazioni spontanee, senza il coinvolgimento di organizzazioni di stampo politico, senza promettere voti a nessuno. Senza sporcarsi le mani nel grosso pentolone della corruzione, ma solo rischiando, mentre si insegue un sogno. Quello dei fratelli Vanni, che hanno ancora fiducia nelle persone, bontà loro.
Grazie di tutto!
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La band a Piazza della Rocca. |
Verso la fine della serata entriamo nel chiostro di quello che una volta era un monastero, dove si trova il palco principale del festival. Lo sguardo corre veloce sotto i portici illuminati di rosa, come a voler vivere quegli spazi una volta silenziosi e percorsi solo da suore nelle loro passeggiate meditative. Una band suona una quasi-cacofonia che richiama vagamente il sapore torrido e rilassato di un pomeriggio pigro d'estate, edificata su uno stabile xilofono che va a tessere la struttura sulla quale scivola la melodia. Ipnotica e coinvolgente, la band ha raccolto davanti a sé un nutrito pubblico, che siede divertito, anche per terra, e non ha intenzione di andarsene nonostante si stia avvicinando la mezzanotte. Noi invece andiamo via appena terminata la musica. Stanchi per il caldo e la lunga giornata ci avviamo giù per quella che quando siamo arrivati era una salita, ma che adesso scende ripida verso la porta di ingresso del paese, che ancora pullula di gente e bambini che con voci squillanti hanno ancora voglia di rincorrersi, trovando l'energia nell'atmosfera di festa che si respira.
Stringendosi nella chiesa dell'Addolorata. |
Se nel corso della prima giornata ci dimentichiamo completamente di mangiare qualcosa, la seconda sera ci concediamo una cena con degustazione di vini al roof bistrot, situato sulla terrazza del monastero. La musica dell'orchestra che sta suonando nel chiostro di sotto ci arriva come a fare da sottofondo al pasto, un menù costruito su misura per gli ospiti del festival, con ingredienti prelibati, tutti coltivati in modo naturale a pochi chilometri di distanza. Lo spesso davanzale della terrazza dà direttamente sul chiostro ed ognuno come in una fila invisibile aspetta il suo turno per sporgersi e guardare di sotto, verso il palco colorato di rosa ed il pubblico assorto, dalle facce rosa anch'esse.
Il mio sguardo però, mentre mastico in silenzio assaporando gli aromi ed i sapori, vaga di continuo verso il cielo stellato sopra di noi. Rifletto molto su quanto sia sorprendente che in così tanti abbiano deciso di dare il loro contributo volontario a questo evento dal raggio d'azione così ridotto, che l'intera popolazione del paese si sia tirata su le maniche per garantire agli ospiti un'esperienza indimenticabile e quasi magica. Bambini fieri del loro pass si danno infatti da fare per risolvere tutti i dubbi e rispondere alle domande più disparate dei visitatori, ragazzini alla soglia dell'adolescenza vanno in giro per le strade ad attirare l'attenzione di un pubblico distratto verso una specie di cripta, dove una band molto speciale si sta esibendo, combinando il suono ubriaco di un didgeridoo ai suoni contemporanei della chitarra elettrica. Associazioni e privati hanno offerto gratuitamente cibo, acqua, tovagliette e posate usa e getta. In tanti si sono prodigati, senza ricevere in cambio altro che gratitudine, e questo assomiglia davvero ad una bella, piccola favola tutta italiana, quasi magica.
Ma non è finita qua. Il festival ha molto altro da offrire nel corso di questi tre giorni. Come il picnic musicale, ad esempio. Metti che ti svegli una domenica mattina, il sole è già sopra l'orizzonte e la temperatura sta salendo in fretta. Allora ti metti in macchina e vai a cercare un luogo fresco, come una fattoria che se ne stia un po' in alto, sulle colline umbre tutte verdi tra Terni e Narni, dove non arrivi neanche il suono del traffico, e dove l'occhio possa adagiarsi sul verde e riposare. Qualcuno ha già disteso delle tovaglie sull'erba, all'ombra di grossi alberi, ha preparato dei panini e una crostata di marmellata. C'è un clown che intrattiene i bambini con giochi di prestigio, sua moglie fa degli animali annodando palloncini. All'ombra del gazebo una band sta già suonando, e non ti resta altro che scegliere dove sederti, respirare profondamente e chiudere gli occhi, godendoti l'attimo fino alla fine, che non c'è fretta, i concerti non inizieranno che prima delle sei di pomeriggio, quindi puoi prendertela con comodo.
Dall'interno del chiostro del vecchio monastero. |
E poi alla fine, come ogni volta viene la malinconia. Le ore scivolano via in fretta e quando ormai ci si avvicina alla fine di questo breve ma intenso sogno ad occhi aperti, rubiamo qualche decina di minuti per sederci fuori dalle mura, sullo spesso balcone del belvedere che ha da poco visto il sole tramontare. Il vento di Collescipoli soffia tiepido, gli uomini della croce rossa sono a pochi metri da noi, siedono anche loro, il festival è scivolato via senza intoppi, anche se loro in ogni caso erano pronti. Guardiamo di sotto, verso la vallata avvolta nel primo buio, il vento ci porta le note del Collettivo Casa Cava di Matera, l'uomo dalla barba non fatta ed i capelli lunghi sta cantando nel suo dialetto, sembra quasi mi auguri la buona notte, anche se in realtà io non vedo lui e neanche lui vede me. È il tempo dei saluti. Andiamo in giro stringendo mani ed abbracciando vecchie compagne di scuola incontrate per caso, respirando un'ultima volta l'aria fresca della sera collescipolana. Chiedendosi se davvero tutto questo sia stato realizzabile basandosi solo su volontariato e donazioni spontanee, senza il coinvolgimento di organizzazioni di stampo politico, senza promettere voti a nessuno. Senza sporcarsi le mani nel grosso pentolone della corruzione, ma solo rischiando, mentre si insegue un sogno. Quello dei fratelli Vanni, che hanno ancora fiducia nelle persone, bontà loro.
Grazie di tutto!
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